L'INNESTO DEL CONTRASTO
2023 | granito, ferro, polistirolo, intonaco | 100x70x200 cm
SKETCHES
2023 | stampa digitale su carta | intervento su parete (site specific)
Carmelo Nicotra - L'innesto del contrasto
a cura di Tabea Badami
L'ascensore, Palermo
Esistono due modi, in Sicilia, per viaggiare in libertà e autonomia: in macchina o, come direbbe qualcuno, “a cavallo delle scarpe”. Camminare è senza dubbio il metodo migliore per poter lasciare lo sguardo spaziare, sul paesaggio, sull’architettura, sulle commistioni decorative e su quelle forme ibride nate dall’incontro di culture differenti. Arabi, normanni, spagnoli, Barocco, Neoclassicismo, stile Liberty... e poi una voce, fuori dal coro. Uno stile che, invece di suscitare stupore e meraviglia, provoca emozioni divergenti, contrastanti. Lo stile dell’Eremo di Zafer 3.
Un pittore di successo, sulla quarantina, lo aveva scoperto per caso, giungendovi mentre guidava la sua automobile. «Feci la breve manovra per entrare nella stradetta asfaltata − racconta − (e l’asfalto avrebbe dovuto mettermi in guardia) e mi avventai alla salita. Querce da sughero e castagni facevano da galleria, l’aria profumava di tardive ginestre. E improvvisamente un vastissimo spiazzo anch’esso asfaltato, un lato chiuso da un casermone di cemento orridamente bucato da finestre strette e oblunghe. Mi fermai, deluso e arrabbiato: poiché non si vedeva che la strada potesse continuare, e dunque l’eremo era ormai quella mostruosa costruzione».1
Colto alla sprovvista dall’impatto con la violenza visiva del cemento, il pittore è pervaso dallo sgomento.
Da un turbamento analogo, di fronte ai fenomeni di abusivismo edilizio e alle loro tragiche conseguenze, al deturpamento ambientale e urbanistico, scaturisce la ricerca di Carmelo Nicotra (Agrigento, 1983). Guardando a quella che Bernard Rudofsky ha definito architettura spontanea (connotata da un anonimato derivante dall’assenza di un autore identificabile) e mosso dalla necessità di riprogettare, di armonizzare i contrasti e restituire dignità a ciò che ne è stato privato, nelle sue sculture e nei suoi collages Nicotra innesta con cura materiali differenti (marmo, granito, cemento, mattoni, intonaco, per citarne alcuni), accostandoli a tonalità pastello.
Proprio attraverso la presenza di colori tenui, che sommessamente si pongono accanto al rude cemento, al gelido marmo, all’aspro granito, l’artista crea delle superfici sensibilizzate, placando la pesantezza della materia con una lirica leggerezza, grazie all’eleganza dei rosa, alla delicatezza degli azzurri e al tepore dei gialli.
Nelle sue composizioni convivono due facce della stessa medaglia, che si risolvono nella dialettica dentro-fuori. Infatti, a partire da un dettaglio apparentemente insignificante, come un frammento di intonaco, sopravvissuto e prelevato da una casa degli anni ’50, l’arabesco di una ringhiera, la decorazione di un capitello, il fusto di una colonna e le sue scanalature, la facciata di un edificio, Nicotra attua un’operazione che non si riduce a mero espediente estetizzante, ma che si muove in quella che Gaston Bachelard ha definito antropologia dell’immaginazione.
Prendendo come punto di riferimento l’architettura, il suo esterno e il suo interno, e il dialogo spesso divergente che fra questi due aspetti si instaura, egli cerca di comprendere il modus vivendi di una comunità, delle persone che abitano quel luogo o lo hanno abitato in passato, ricostruendone e preservandone la memoria, e le dinamiche relazionali che possono originarsi dal linguaggio formale distintivo di un’abitazione.
La forma, unita al colore, può infatti legarsi alle meccaniche dell’apparire, del manifestare, e a loro volta queste sono in grado di determinare o condizionare l’essere, basandosi sul «fare le cose in un certo modo», spiega Nicotra, tramite una creatività che nasce dallo «spirito di adattamento», da una carenza di mezzi e dal ricorso a ciò che è disponibile. Affascinato dalle suggestioni che ogni luogo è in grado di generare, l’artista inizia a fermare su carta linee, profili, geometrie, restituendo frammenti, visioni, costruzioni che sfidano le leggi della statica, gradini, balconi, tetti, tracciando costantemente un paesaggio cangiante e cogliendone l’essenza in volumi innestati e forme immaginifiche.
Questa cospicua serie di disegni, presente in mostra, fornisce una chiave di accesso a quel lungo e laborioso processo mentale, di formulazione e progettazione, che sta alla base delle opere di Nicotra.
I bozzetti sono un’ouverture da ascoltare a sipario chiuso, nell’incertezza che il drappo si aprirà per mostrare il palcoscenico. Sono personaggi in cerca d’autore, usciti per prodigio dai fogli di carta che li contenevano. E mentre alcuni attendono dietro le quinte, altri fanno il loro ingresso in scena. C’è chi si muove sinuosamente su tacchi a spillo, esibendo polpacci marmorei, chi barcolla su gracili gambe, troppo esili per reggere il peso di una pancia prominente, chi punta in avanti il mento spigoloso, con piglio altezzoso, chi allunga il passo rigidamente.
Queste figure inusuali colgono ogni momento della giornata dell’artista per riaffacciarsi nella solitudine del suo studio. Ora l’una, ora l’altra, a volte in coppia, vanno a tentarlo. «Per un momento io mi lasciavo vincere; e bastava ogni volta questo mio condiscendere, questo lasciarmi prendere per un po’, perché essi ne traessero un nuovo profitto di vita, un accrescimento d’evidenza [...] E così a mano a mano diveniva per me tanto più difficile il tornare a liberarmi da loro, quanto a loro più facile il tornare a tentarmi. Ne ebbi, a un certo punto, una vera e propria ossessione».2
Un’ossessione, quella per il dettaglio, la linea, la forma, che porta con sé il sapore antico di reminiscenze elleniche, di un classicismo estrapolato ed esasperato, per poi prendere corpo nelle sculture e nelle installazioni, unendosi a elementi di mobilio o materiali da costruzione diffusisi soprattutto, ma non solo, nel periodo del miracolo economico italiano, le cui ripercussioni sono ancora oggi evidenti e al centro dell’indagine di Nicotra.
Infatti, una delle questioni affrontate dall’artista è proprio l’edificazione selvaggia che si è scatenata a causa di quella condizione di benessere generalizzata, che ha condotto a costruire edifici, spesso su più piani, in zone a rischio, soggette a smottamenti, frane e terremoti, protette o addirittura vicine agli argini dei corsi d’acqua o, peggio ancora, al mare, stravolgendo di conseguenza la fisionomia del territorio (basti pensare al sacco di Palermo).
E se da un lato queste case, simili a castelli di sabbia, edificate dai padri per i figli e mai abitate da questi ultimi, vedono come triste destino l’abbandono, il crollo o la demolizione, denunciando quindi un atteggiamento di disinteresse, dall’altro sono la chiara manifestazione della ὕβρις (hýbris) dell’uomo, che volutamente e con tracotanza ignora la pericolosità e la fatalità dei luoghi sui quali impone con forza la sua mano di costruttore/distruttore.
Cosicché, Nicotra propone una riflessione etica nelle sue opere, attraverso l’attenzione al luogo e al paesaggio, la cura del dettaglio e la salvaguardia di una memoria collettiva che nasce dal singolo individuo.
Come ha sottolineato Daniela Bigi, la sua ricerca è imperniata su «una militanza che, oltre che con la conservazione e lo studio, si esprime soprattutto dentro una pratica di riprogettazione che parte dai segni, i caratteri, i fallimenti e le ambizioni del proprio territorio, al di là degli stereotipi con i quali si continua a immobilizzare la Sicilia».3
E così, cercando e scavando come un archeologo, tra macerie senza storia, relitti naufragati prima del varo e rovine depredate della loro memoria, con perseveranza Nicotra si sforza di aprire, nel grigio della città, varchi di luce.
Tabea Badami
Photo credit: Filippo M. Nicoletti
L'INNESTO DEL CONTRASTO
2023 | granito, ferro, polistirolo, intonaco | 100x70x200 cm
SKETCHES
2023 | stampa digitale su carta | intervento su parete (site specific)
Carmelo Nicotra - L'innesto del contrasto
a cura di Tabea Badami
L'ascensore, Palermo
Esistono due modi, in Sicilia, per viaggiare in libertà e autonomia: in macchina o, come direbbe qualcuno, “a cavallo delle scarpe”. Camminare è senza dubbio il metodo migliore per poter lasciare lo sguardo spaziare, sul paesaggio, sull’architettura, sulle commistioni decorative e su quelle forme ibride nate dall’incontro di culture differenti. Arabi, normanni, spagnoli, Barocco, Neoclassicismo, stile Liberty... e poi una voce, fuori dal coro. Uno stile che, invece di suscitare stupore e meraviglia, provoca emozioni divergenti, contrastanti. Lo stile dell’Eremo di Zafer 3.
Un pittore di successo, sulla quarantina, lo aveva scoperto per caso, giungendovi mentre guidava la sua automobile. «Feci la breve manovra per entrare nella stradetta asfaltata − racconta − (e l’asfalto avrebbe dovuto mettermi in guardia) e mi avventai alla salita. Querce da sughero e castagni facevano da galleria, l’aria profumava di tardive ginestre. E improvvisamente un vastissimo spiazzo anch’esso asfaltato, un lato chiuso da un casermone di cemento orridamente bucato da finestre strette e oblunghe. Mi fermai, deluso e arrabbiato: poiché non si vedeva che la strada potesse continuare, e dunque l’eremo era ormai quella mostruosa costruzione».1
Colto alla sprovvista dall’impatto con la violenza visiva del cemento, il pittore è pervaso dallo sgomento.
Da un turbamento analogo, di fronte ai fenomeni di abusivismo edilizio e alle loro tragiche conseguenze, al deturpamento ambientale e urbanistico, scaturisce la ricerca di Carmelo Nicotra (Agrigento, 1983). Guardando a quella che Bernard Rudofsky ha definito architettura spontanea (connotata da un anonimato derivante dall’assenza di un autore identificabile) e mosso dalla necessità di riprogettare, di armonizzare i contrasti e restituire dignità a ciò che ne è stato privato, nelle sue sculture e nei suoi collages Nicotra innesta con cura materiali differenti (marmo, granito, cemento, mattoni, intonaco, per citarne alcuni), accostandoli a tonalità pastello.
Proprio attraverso la presenza di colori tenui, che sommessamente si pongono accanto al rude cemento, al gelido marmo, all’aspro granito, l’artista crea delle superfici sensibilizzate, placando la pesantezza della materia con una lirica leggerezza, grazie all’eleganza dei rosa, alla delicatezza degli azzurri e al tepore dei gialli.
Nelle sue composizioni convivono due facce della stessa medaglia, che si risolvono nella dialettica dentro-fuori. Infatti, a partire da un dettaglio apparentemente insignificante, come un frammento di intonaco, sopravvissuto e prelevato da una casa degli anni ’50, l’arabesco di una ringhiera, la decorazione di un capitello, il fusto di una colonna e le sue scanalature, la facciata di un edificio, Nicotra attua un’operazione che non si riduce a mero espediente estetizzante, ma che si muove in quella che Gaston Bachelard ha definito antropologia dell’immaginazione.
Prendendo come punto di riferimento l’architettura, il suo esterno e il suo interno, e il dialogo spesso divergente che fra questi due aspetti si instaura, egli cerca di comprendere il modus vivendi di una comunità, delle persone che abitano quel luogo o lo hanno abitato in passato, ricostruendone e preservandone la memoria, e le dinamiche relazionali che possono originarsi dal linguaggio formale distintivo di un’abitazione.
La forma, unita al colore, può infatti legarsi alle meccaniche dell’apparire, del manifestare, e a loro volta queste sono in grado di determinare o condizionare l’essere, basandosi sul «fare le cose in un certo modo», spiega Nicotra, tramite una creatività che nasce dallo «spirito di adattamento», da una carenza di mezzi e dal ricorso a ciò che è disponibile. Affascinato dalle suggestioni che ogni luogo è in grado di generare, l’artista inizia a fermare su carta linee, profili, geometrie, restituendo frammenti, visioni, costruzioni che sfidano le leggi della statica, gradini, balconi, tetti, tracciando costantemente un paesaggio cangiante e cogliendone l’essenza in volumi innestati e forme immaginifiche.
Questa cospicua serie di disegni, presente in mostra, fornisce una chiave di accesso a quel lungo e laborioso processo mentale, di formulazione e progettazione, che sta alla base delle opere di Nicotra.
I bozzetti sono un’ouverture da ascoltare a sipario chiuso, nell’incertezza che il drappo si aprirà per mostrare il palcoscenico. Sono personaggi in cerca d’autore, usciti per prodigio dai fogli di carta che li contenevano. E mentre alcuni attendono dietro le quinte, altri fanno il loro ingresso in scena. C’è chi si muove sinuosamente su tacchi a spillo, esibendo polpacci marmorei, chi barcolla su gracili gambe, troppo esili per reggere il peso di una pancia prominente, chi punta in avanti il mento spigoloso, con piglio altezzoso, chi allunga il passo rigidamente.
Queste figure inusuali colgono ogni momento della giornata dell’artista per riaffacciarsi nella solitudine del suo studio. Ora l’una, ora l’altra, a volte in coppia, vanno a tentarlo. «Per un momento io mi lasciavo vincere; e bastava ogni volta questo mio condiscendere, questo lasciarmi prendere per un po’, perché essi ne traessero un nuovo profitto di vita, un accrescimento d’evidenza [...] E così a mano a mano diveniva per me tanto più difficile il tornare a liberarmi da loro, quanto a loro più facile il tornare a tentarmi. Ne ebbi, a un certo punto, una vera e propria ossessione».2
Un’ossessione, quella per il dettaglio, la linea, la forma, che porta con sé il sapore antico di reminiscenze elleniche, di un classicismo estrapolato ed esasperato, per poi prendere corpo nelle sculture e nelle installazioni, unendosi a elementi di mobilio o materiali da costruzione diffusisi soprattutto, ma non solo, nel periodo del miracolo economico italiano, le cui ripercussioni sono ancora oggi evidenti e al centro dell’indagine di Nicotra.
Infatti, una delle questioni affrontate dall’artista è proprio l’edificazione selvaggia che si è scatenata a causa di quella condizione di benessere generalizzata, che ha condotto a costruire edifici, spesso su più piani, in zone a rischio, soggette a smottamenti, frane e terremoti, protette o addirittura vicine agli argini dei corsi d’acqua o, peggio ancora, al mare, stravolgendo di conseguenza la fisionomia del territorio (basti pensare al sacco di Palermo).
E se da un lato queste case, simili a castelli di sabbia, edificate dai padri per i figli e mai abitate da questi ultimi, vedono come triste destino l’abbandono, il crollo o la demolizione, denunciando quindi un atteggiamento di disinteresse, dall’altro sono la chiara manifestazione della ὕβρις (hýbris) dell’uomo, che volutamente e con tracotanza ignora la pericolosità e la fatalità dei luoghi sui quali impone con forza la sua mano di costruttore/distruttore.
Cosicché, Nicotra propone una riflessione etica nelle sue opere, attraverso l’attenzione al luogo e al paesaggio, la cura del dettaglio e la salvaguardia di una memoria collettiva che nasce dal singolo individuo.
Come ha sottolineato Daniela Bigi, la sua ricerca è imperniata su «una militanza che, oltre che con la conservazione e lo studio, si esprime soprattutto dentro una pratica di riprogettazione che parte dai segni, i caratteri, i fallimenti e le ambizioni del proprio territorio, al di là degli stereotipi con i quali si continua a immobilizzare la Sicilia».3
E così, cercando e scavando come un archeologo, tra macerie senza storia, relitti naufragati prima del varo e rovine depredate della loro memoria, con perseveranza Nicotra si sforza di aprire, nel grigio della città, varchi di luce.
Tabea Badami
Photo credit: Filippo M. Nicoletti
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